lunedì 15 febbraio 2010

Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia contro il PEARS

Desidero mettere in evidenza la Sentenza N. 01775/2010 REG.SEN. N. 01010/2009 REG.RIC. del TAR che nella sostanza si esprime contro il PEARS (Piano Energetico Ambientale Regione Sicilia).
La Sentenza è disponibile direttamente sul sito del TAR a questo indirizzo oppure è possibile leggerla qui di seguito:

N. 01775/2010 REG.SEN.
N. 01010/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1010 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Zefira S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Comandè, con domicilio eletto presso il predetto difensore in Palermo, via N. Morello n.40;
contro
Regione Sicilia, Giunta regionale siciliana, Regione Sicilia Assessorato Industria, Regione Sicilia Assessorato Territorio ed Ambiente, Regione Sicilia Assessorato Territorio ed Ambiente - Dipartimento Ambiente, Servizio II Via-Vas, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in Palermo, via A. De Gasperi 81, sono domiciliati per legge;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Daniele Monachino e Luigi Monachino, rappresentati e difesi dall'avv. Alberto Cutaia, con domicilio eletto presso l’avv. Armando Buttitta in Palermo, piazza S. Cuore 3;
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia:
quanto al ricorso introduttivo:
del D.P.R.S. del 9 marzo 2009, con il quale è stata emanata la delibera di Giunta Regionale n. 1 del 3 febbraio 2009, recante “Piano energetico ambientale regionale siciliano (P.E.A.R.S.) – Approvazione”;
della delibera di Giunta Regionale Siciliana n. 1 del 3 febbraio 2009, emanata con il suddetto decreto, relativamente ai seguenti punti: 2, lett. b) e d), nonché penultimo capoverso; 3, 4, 6, 7, 10, 20, 21;
del verbale della conferenza di Servizi del 31 marzo 2009, nella parte in cui non si è proceduto alla rimessione alla Giunta di Governo della decisione in ordine alla istanza di autorizzazione ex art. 12 d. lgs. 387/2003, presentata dalla società ricorrente, in attesa della valutazione circa l’applicabilità a tale istanza del P.E.A.R.S.;
della nota del Dirigente del Servizio V.I.A. - V.A.S. del Dipartimento Ambiente dell'Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente prot. n. 24984 del 31 marzo 2009, con la quale è stato espresso parere negativo di compatibilità ambientale;
di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
della nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009, con la quale l’Assessorato regionale Industria, Dipartimento Regionale dell’Industria e delle Miniere, ha richiesto alla odierna ricorrente di provvedere alla integrazione della documentazione relativa al progetto di impianto eolico da realizzarsi nel territorio di Paternò e Centuripe, in esecuzione di quanto disposto dal punto 2 della delibera di G.R. n. 1/2009.

Visti il ricorso introduttivo, ed il connesso ricorso per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Sicilia, Giunta regionale siciliana, Regione Sicilia Assessorato Industria, Regione Sicilia Assessorato Territorio ed Ambiente, Regione Sicilia Assessorato Territ. ed Ambiente -Dipart. Ambiente Serv. II Via-Vas;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2009 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, notificato il 26 maggio 2009, e depositato il successivo 4 giugno, la società ricorrente ha depositato i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione regionale intimata, depositando memoria e documenti.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 30 luglio 2009, e depositato il successivo 31 luglio, la società ricorrente ha altresì impugnato la nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009.
Con ordinanza n. 851/2009, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione cautelare degli effetti dei provvedimenti impugnati.
Detto provvedimento è stato riformato in sede di appello cautelare dall’ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, n. 1038/2009, con la seguente motivazione: “nella comparazione dei contrapposti interessi appare meritevole di prevalente considerazione il danno grave ed irreparabile dedotto dall’appellante amministrazione regionale, con riferimento all’interesse pubblico specifico affidato alle sue cure”.
In data 10 dicembre 2009 veniva depositato un atto di intervento ad adiuvandum dei signori Daniele Monachino e Luigi Monachino, imprenditori operanti nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
In prossimità dell’udienza di discussione sia la società ricorrente che l’amministrazione resistente depositavano memoria.
Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 22 dicembre 2009.
Il presente giudizio ha ad oggetto una serie di provvedimenti relativi al procedimento di autorizzazione di un impianto eolico da realizzarsi da parte della società ricorrente nel territorio dei comuni di Paternò e Centuripe, avviato da un’istanza presentata alla Regione Siciliana dalla società ricorrente fin dall’ 11 agosto 2004.
Il ricorso introduttivo si rivolge inoltre anche contro alcune previsioni del Piano energetico ambientale regionale siciliano (P.E.A.R.S.), approvato con delibera di Giunta Regionale n. 1 del 3 febbraio 2009, in quanto ritenute (dall’amministrazione) applicabili alla fattispecie dedotta.
Nell’ordine logico delle questioni va dunque preliminarmente esaminata la censura – comune ai motivi nn. 2, 3, 4 e 13 del ricorso introduttivo, e al terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti – con cui la parte ricorrente lamenta l’illegittima applicazione dell’impugnato P.E.A.R.S. ai procedimenti amministrativi avviati anteriormente alla sua entrata in vigore.
In argomento va anzitutto esaminata la questione – anch’essa dedotta nel quarto motivo del ricorso introduttivo – relativa alla natura giuridica del P.E.A.R.S.
Sul punto ritiene il collegio che, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale già espresso da questo Tribunale Amministrativo (sentenza n. 1632 del 2009), alle disposizioni del P.E.A.R.S. vada riconosciuta natura formalmente amministrativa, ma sostanzialmente normativa, vale a dire natura regolamentare.
La sentenza da ultimo citata, infatti, resa in sede di impugnazione del decreto assessoriale n. 123 del 28 aprile 2005, avente ad oggetto “Criteri relativi ai progetti per la realizzazione degli impianti industriali per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento”, ha chiarito che “Non appare invero discutibile che le disposizioni de quibus hanno la caratteristica della novità - introducendo condizioni e prescrizioni ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico - della generalità e dell’astrattezza; in definitiva si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario.”
Avendo il Piano oggi impugnato contenuto pressoché identico – dal punto di vista della materia disciplinata, e delle modalità di disciplina della stessa – rispetto al decreto assessoriale n. 123 del 28 aprile 2005, non può che rinviarsi in senso adesivo alle considerazioni ora riportate, e concludere sul punto nel senso della natura regolamentare del Piano impugnato.
Da tale conclusione derivano due conseguenze: sul piano della gerarchia delle fonti, la subordinazione dei contenuti normativi del piano alle fonti del diritto di rango primario; sul piano della successione temporale della disciplina dei procedimenti amministrativi afferenti la materia regolata dal piano, la qualificazione del piano stesso come ius superveniens rispetto alle istanze già presentate.
Mentre il primo dei cennati profili incide sul giudizio di validità dei contenuti disciplinari introdotti dal P.E.A.R.S. (cui pure si riferiscono alcune delle censure proposte nel presente giudizio), il secondo opera sul piano diacronico, delimitando l’efficacia temporale delle nuove prescrizioni secondo la regola scolpita dall’artt. 10 e 11 delle preleggi (Consiglio di Stato adunanza generale, 6 luglio 1995 , n. 30).
Ne consegue che l’amministrazione regionale illegittimamente ha scrutinato le istanze di autorizzazione ex art. 12 del d. lgs. 387/2003, presentate prima della pubblicazione nella G.U.R.S. del 27 marzo 2009 del Piano impugnato, secondo le regole – procedimentali o sostanziali- portate da detto piano.
Va peraltro aggiunto che – come dedotto dalla parte ricorrente – il profilo di illegittimità in proposito è duplice, per quelle istanze che, alla data di entrata in vigore del P.E.A.R.S., erano state presentate da più di centottanta giorni.
In questa seconda ipotesi, infatti, ricorrente nel caso di specie, già il fatto della mancata pronuncia sull’istanza di autorizzazione entro il termine finale stabilito dalla norma primaria, configura una forma di illegittimità lesiva delle posizioni d’interesse dei soggetti che hanno presentato l’istanza di autorizzazione, come in più occasioni ricordato anche da questa Sezione (da ultimo con le sentenze n. 1539 e n. 1691 del 2009).
All’inadempimento dell’amministrazione, consistito nel non aver esitato una istanza di autorizzazione entro il termine previsto, si aggiunge nel caso in esame la pretesa della stessa amministrazione di assoggettare alle nuove norme regolamentari, in violazione dell’art. 11 delle preleggi, fattispecie autorizzatorie che risultano tuttora non definite proprio in conseguenza di detto inadempimento (e per le quali, dunque, un problema di applicazione del P.E.A.R.S. non si sarebbe posto ove l’amministrazione avesse rispettato il citato art. 12 del d. lgs. 387/2003).
La vicenda dedotta nel presente giudizio è, sul punto, particolarmente emblematica, dal momento che l’istanza della società ricorrente è stata assunta al protocollo dell’Assessorato regionale Territorio ed Ambiente con il n. 53259 dell’11 agosto 2004.
Dalla superiore conclusione discende anzitutto la fondatezza del secondo motivo del ricorso introduttivo, che censura la nota del Dirigente del Servizio V.I.A. - V.A.S. del Dipartimento Ambiente dell'Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente prot. n. 24984 del 31 marzo 2009, con la quale è stato espresso parere negativo di compatibilità ambientale, per incompatibilità del progetto con le previsioni del nuovo P.E.A.R.S.
Detta nota va pertanto annullata perché illegittima, rimanendo assorbito il primo motivo, rivolto contro il medesimo provvedimento, ma per altro profilo di illegittimità.
Analogamente, in accoglimento del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, va annullata la nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009, dell’Assessorato regionale Industria, Dipartimento Regionale dell’Industria e delle Miniere, anche in questo caso con assorbimento degli altri motivi proposti contro il medesimo provvedimento, ma per altri profili di illegittimità.
Allo stesso modo va annullato il punto 2), penultimo capoverso della delibera approvativa del P.E.A.R.S., impugnata con il terzo motivo del ricorso introduttivo, per violazione dell’art. 12 del d. lgs. 387/2003, laddove dispone che la documentazione prevista dallo stesso art. 2 vada “prodotta anche per istanze per le quali siano in corso o indette le Conferenze di Servizi che non abbiano assunto le determinazioni conclusive alla data di adozione del presente provvedimento”: l’unitarietà del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dal citato art. 12 non consente infatti di ritenere legittima l’individuazione come discrimen temporale dell’ambito applicativo della nuova disciplina l’avvenuta convocazione o meno della conferenza di servizi, altro essendo il profilo considerato dirimente dalla norma di rango primario (il già ricordato rispetto del termine di centottanta giorni).
Residuano a questo punto le censure proposte dalla società ricorrente contro alcune disposizioni del P.E.A.R.S.
Appare tuttavia al collegio come preliminare, la questione della permanenza in capo alla parte ricorrente dell’interesse a coltivare tali censure, dopo che l’annullamento dei provvedimenti sopra richiamati comporta l’inapplicabilità dello stesso P.E.A.R.S. all’istanza dalla stessa presentata nel 2004.
Va in proposito rammentato che – come risulta dagli atti - la società ricorrente opera nel settore della produzione di energia mediante fonti rinnovabili nel territorio della Regione Siciliana, e che il piano di cui si discute ha, per le considerazioni sopra esposte, natura regolamentare.
Circa l’interesse ad impugnare l’atto regolamentare indipendentemente dall’atto applicativo, la giurisprudenza, anche di recente, ha affermato il principio per cui nel caso in cui un atto di natura regolamentare contenga delle disposizioni impositive di precisi obblighi o divieti, le quali si pongano pertanto come immediatamente precettive e direttamente lesive della posizione di tutti i soggetti interessati, costoro hanno non solo la facoltà di impugnarlo autonomamente rispetto all’atto applicativo (a quel punto, meramente consequenziale), ma anche uno specifico onere in tal senso, posto che l’assetto d’interessi censurato in quanto illegittimo, e lamentato in quanto lesivo, è direttamente posto dalla norma regolamentare (in questo senso, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, decisione 7 ottobre 2009 n. 6165 ).
Avuto riguardo a tale principio, e al contenuto di parte delle norme del P.E.A.R.S. censurate (che sarà illustrato in sede di esame di ciascuna specifica censura), ritiene il collegio che la società ricorrente mantenga l’interesse allo scrutinio della legittimità di tali norme pur a seguito dell’accoglimento della censura precedentemente esaminata: quanto meno sotto il profilo della stretta connessione fra l’attività imprenditoriale dalla stessa esercitata e l’incisiva conformazione del diritto d’iniziativa economica – in subiecta materia - portata dalle disposizioni regolamentari impugnate (ad eccezione di singole e specifiche norme regolamentari, per le quali detto interesse – come si dirà – non sussiste, in ragione del contenuto delle norme medesime).
In via di prima approssimazione, può dirsi che sicuramente producono un immediato effetto lesivo le disposizioni regolamentari:
che sul piano formale, possono qualificarsi come autosufficienti dal punto di vista applicativo, perché non necessitano della intermediazione – per la produzione dell’effetto giuridico ritenuto lesivo – di un ulteriore atto;
che sul piano sostanziale, risultano direttamente conformative della posizione giuridica dei soggetti richiedenti l’autorizzazione, in quanto lo spazio di discrezionalità lasciato all’amministrazione per la loro applicazione non comporta la possibilità di operare significative scelte decisionali in merito al rilascio o meno dell’autorizzazione medesima, in considerazione dell’estensione dello spazio di predeterminazione della successiva attività amministrativa.
Tali sono, esemplificativamente, le disposizioni regolamentari che disciplinano la documentazione da produrre a corredo dell’istanza di autorizzazione unica, nonché quelle che disciplinano il procedimento di localizzazione degli impianti autorizzabili.
Prima di passare all’esame analitico di tali censure, va affrontata una questione in qualche modo pregiudiziale e comune alle stesse: quella del riparto di competenze fra lo Stato e la Regione Siciliana nella materia in questione.
La memoria dell’Avvocatura dello Stato in più punti sottolinea la competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di paesaggio, facendone discendere la legittimità – in punto di riparto di attribuzioni - dell’esercizio delle competenze (regolamentari) oggetto del presente giudizio.
Sul piano della identificazione degli interessi pubblici che vengono in considerazione in questa materia, occorre muovere dall’esame della sentenza n. 364 del 2006 della Corte costituzionale, che ha precisato che la normativa relativa alle procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica dev’essere ricondotta alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., con ciò ponendo in evidenza come la stessa incide primariamente sull’interesse della collettività alla produzione energetica, e rifiutando la prospettazione proposta dalla Regione resistente, secondo la quale il riferimento costituzionale primario sarebbe stato da individuare nelle materie della “tutela dell’ambiente” e del “governo del territorio”.
L’impatto territoriale degli impianti per la produzione di energia eolica, sicuramente rilevante e tale da giustificare l’esercizio dei poteri urbanistici e paesaggistici, non è tuttavia un elemento da considerare in via esclusiva, dovendo l’attività in parola tener conto altresì (e principalmente) dell’interesse nazionale – costituzionalmente rilevante - all’approvvigionamento energetico (per di più, in forme non inquinanti).
Di questa esigenza la giurisprudenza amministrativa si era già fatta carico, rilevando come “Nel caso in esame, si tratta di realizzare, con una cospicua spesa, una importante opera pubblica volta a incrementare la produzione energetica anche con fonti rinnovabili. Sussistono quindi i presupposti affinché in base al principio di proporzionalità, si affermi la necessità, elusa dal provvedimento sindacale, della precisa indicazione delle ragioni ostative al rilascio della autorizzazione paesaggistica, al fine appunto di eliminare sproporzioni fra la tutela dei vincoli e la finalità di pubblico interesse sotteso alla produzione ed utilizzazione dell'energia elettrica, rientrante, quest'ultima, nei servizi di pubblica utilità ed il cui potenziamento costituisce obiettivo specifico dell'amministrazione di settore” (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 22 giugno 2001, n. 2883).
La Corte costituzionale ha poi ribadito che in questa materia si intrecciano sia le competenze relative alla produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, sia quelle relative alla tutela della concorrenza, nella sentenza n. 88 del 2009, resa sul giudizio di legittimità costituzionale, in via principale, dell'articolo 2, comma 158, lettere a) e c) e comma 165 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008).
Nella sentenza n. 166 del 2009, la Corte costituzionale ha rimarcato la rilevanza di questa materia anche in relazione alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Da ultimo la Corte costituzionale, nella sentenza n. 282 del 2009, ha chiarito che “L’energia prodotta da impianti eolici e fotovoltaici è ascrivibile al novero delle fonti rinnovabili, come si evince dalla lettura dell’art. 2 della direttiva n. 2001/77/CE e dell’art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003. La normativa internazionale, quella comunitaria e quella nazionale manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti. In particolare, in ambito europeo una disciplina così orientata è rinvenibile nella citata direttiva n. 2001/77/CE e in quella più recente del 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), che ha confermato questa impostazione di fondo. In ambito nazionale, la normativa comunitaria è stata recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia, come riconosciuto da questa Corte, i princìpi fondamentali in materia (così la sentenza n. 364 del 2006). Ulteriori princìpi fondamentali sono stati fissati, anche in questo ambito, dalla legge n. 239 del 2004 che ha realizzato «il riordino dell’intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice» (sentenza n. 383 del 2005)”.
E’ pertanto evidente come l’innegabile coinvolgimento in questa materia degli interessi pubblici in materia paesaggistica non produce, secondo la richiamata giurisprudenza costituzionale, l’effetto di attrarre nell’orbita delle competenze paesaggistiche le attribuzioni relative alla materia medesima.
In ogni caso, ciò che appare troncante è il rilievo che tale disputa, su cui molto hanno insistito le parti sia nelle difese scritte che in quelle orali, rischia di risolversi in una questione puramente teorica, dal momento che il mancato esercizio, da parte regionale, delle competenze legislative rivendicate comporta – sia per il rispetto del principio di legalità sostanziale, sia per il rispetto del principio di gerarchia fra le fonti – che le norme regolamentari da essa emanate tendenti a disciplinare l’estensione e le modalità delle attività amministrative propedeutiche al rilascio delle autorizzazioni di che trattasi, si pongano in rapporto di non contraddizione con le sovrastanti norme di rango primario (statali), alla stregua delle quali va pertanto condotto lo scrutinio della legittimità delle disposizioni regolamentari censurate.
Come infatti già affermato da questa Sezione nella sentenza n. 273 dell’11 gennaio 2010 (relativa ad un ricorso trattato nella medesima udienza pubblica in cui è stato discusso e deciso il presente giudizio), “La Regione Sicilia, ad oggi, non ha esercitato la potestà legislativa di dettaglio per il recepimento dei principi stabiliti dal d. lgs. n° 387 del 2003, nè per il recepimento della direttiva n. 2001/77/CE”.
Sempre in tale sentenza, si è altresì ulteriormente precisato che “La giurisprudenza ha evidenziato il fondamento costituzionale del potere suppletivo del legislatore statale a fronte dell’inerzia di Regioni, anche a Statuto speciale, nel recepimento di norme comunitarie (Corte Cost. n° 126 del 24 aprile 1996; Corte Cost. n° 425 del 10 novembre 1999; Cons. Stato, Adunanza Generale n° 2 del 25 febbraio 2002). Tale fondamento, esplicitato, per effetto della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n° 3, dal primo comma dell’art. 117 Cost., è causalmente riconducibile alla responsabilità sovranazionale e internazionale, che fa capo integralmente e unitariamente allo Stato-persona per le carenze nel rispetto dei relativi impegni. In particolare, l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n° 2 del 25 febbraio 2002 ha ritenuto che:
“- all'attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le Regioni e le Province autonome;
- ove le Regioni non abbiano provveduto, sussista il potere dovere dello Stato, al fine di rispettare i vincoli comunitari, di attuare, attraverso proprie fonti normative, tali direttive;
- le norme poste dallo Stato in via sostitutiva siano applicabili solo nell'ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli, divengano cioè inapplicabili, qualora le Regioni o le Province esercitino il potere loro proprio di attuazione della direttiva, nel territorio di tali Regioni o Province; (...).
Tale previsione del potere sostitutivo (id est, il quinto comma dell’art. 117 Cost.) rende espressa una norma riconducibile agli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione e, cioè, al generale potere dovere dello Stato di rispettare i vincoli comunitari per i quali è responsabile unitariamente”.
Nel caso di specie, in ossequio ai principi costituzionali enucleati dalla giurisprudenza appena richiamata, deve ritenersi che, pur in difetto di un’espressa qualificazione del carattere cedevole delle norme del d.lgs. n° 387/2003 e della legge n° 239/2004 negli ordinamenti regionali anche a Statuto speciale privi di normativa di esecuzione degli obblighi comunitari, la fonte legislativa statale assuma natura suppletiva ai sensi della legge n° 11/2005 e, come tale, si applichi anche per la disciplina di dettaglio, nelle more dell’esercizio della potestà legislativa regionale concorrente. A ciò consegue che il parametro di legittimità degli atti impugnati con l’odierno ricorso va rinvenuto nella legislazione statale dettata con il d. lgs. n° 387/2003 e con la legge n° 239/2004”.
Date le superiori premesse di metodo, vanno allora analiticamente esaminate le singole censure proposte.
Con il quarto motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la legittimità del punto 2 lett. b) del Piano, nella parte in cui subordina il rilascio dell’autorizzazione unica alla produzione di “documentazione attestante la disponibilità giuridica dell’area di impianto in capo al richiedente”.
La censura deduce, tra l’altro, la violazione dell’art. 12 del d. lgs 387/2003, e dell’art. 1 del T.U. in materia di espropriazioni, approvato con d.P.R. 327/2001”.
La censura è fondata.
L’art. 12, primo comma, del d.lgs. 387/2003, stabilisce che “Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”.
A sua volta, l’art. 1 del d.P.R. 327/2001 prevede che il potere espropriativo disciplinato dallo stesso T.U. può essere esercitato – sul piano soggettivo - anche “a favore di privati”, e – sul piano oggettivo – anche con riguardo a “beni immobili o (…) diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.
Dal combinato disposto delle due disposizioni ora richiamate discende che la qualificazione legale degli impianti di produzione di energia eolica implica un regime della disponibilità delle relative aree incompatibile con quello posto dalla norma regolamentare regionale impugnata: più in particolare, il legislatore statale, imprimendo a tali impianti la qualificazione di “opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti”, ha inteso consentire la loro realizzazione anche oltre e al di là della limitazione costituita dalla attuale disponibilità dell’area in capo al richiedente l’autorizzazione, scindendo chiaramente i due profili.
La norma regionale ha invece posto l’uno quale condizione dell’altro: con ciò violando all’evidenza la regola posta dalla norma primaria di rango statale.
La censura è dunque fondata e va accolta.
Con il quinto motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la legittimità del punto 3 del Piano, che subordina l’assentibilità dell’istanza alla presentazione di una comunicazione, da parte del gestore della rete, circa la capacità ricettiva di quest’ultima in relazione all’energia prodotta dall’impianto autorizzando.
La censura deduce, tra l’altro, la violazione dell’art. 3, comma 1, del d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79.
La censura è fondata.
Come recentemente chiarito, il d.lgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva 1996/92/CE, “ha recepito i principi di liberalizzazione ed apertura del mercato dell’energia, disponendo che le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sono libere, nel rispetto dei soli obblighi di servizio pubblico (art. 1); le attività di trasmissione, dispacciamento e distribuzione sono invece svolte in regime di concessione, sotto la vigilanza dell’Autorità di settore (artt. 3 e ss. e 9 del decreto)” (Consiglio di Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849/08).
L’art. 3, comma 1, del d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79, in particolare, stabilisce che “Il gestore della rete di trasmissione nazionale (….) ha l'obbligo di connettere alla rete di trasmissione nazionale tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole tecniche di cui al comma 6 del presente articolo e le condizioni tecnico-economiche di accesso e di interconnessione fissate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. L'eventuale rifiuto di accesso alla rete deve essere debitamente motivato dal gestore. Il gestore della rete di trasmissione nazionale fornisce ai soggetti responsabili della gestione di ogni altra rete dell'Unione europea interconnessa con la rete di trasmissione nazionale informazioni sufficienti per garantire il funzionamento sicuro ed efficiente, lo sviluppo coordinato e l'interoperabilità delle reti interconnesse”.
E’ pertanto evidente nella disciplina posta dalla norma statale di rango primario, attuativa della direttiva comunitaria, che è la capacità della rete di trasmissione a dovere essere funzionale all’attività di produzione di energia, e non viceversa.
Ciò risulta del resto sia da un dato ontologico, sia soprattutto dal preciso limite che la norma pone ad un eventuale rifiuto del gestore: che può essere legittimamente connesso soltanto al rispetto delle regole tecniche, e delle condizioni tecnico-economiche fissate dall’Autorità di settore (e non dal gestore della rete, o dalla Regione).
La disposizione impugnata, invece, nel fare riferimento alla valutazione operata dal gestore circa la compatibilità della capacità ricettiva della rete rispetto alla energia prodotta dall’impianto autorizzando, introduce un ulteriore limite – peraltro generico: potendo un eventuale giudizio di incompatibilità fra le variabili suddette essere legato alle più svariate circostanze – all’esercizio di un’attività che invece la normativa comunitaria, e quella statale che l’ha attuata, vogliono espressamente essere liberalizzata.
Anche questa censura è quindi fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con il sesto motivo del ricorso introduttivo si contesta la legittimità del punto 4) della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui prevede che le Soprintendenze ai Beni Culturali ed Ambientali “comunicano in sede di Conferenze dei Servizi, indette ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003, se le aree oggetto delle istanze di rilascio di autorizzazione per impianti da fonte rinnovabile siano sottoposte a vincolo o interessate da avvio di procedimento per l’apposizione di vincoli, al fine di tutelare compiutamente il bene paesaggio e il bene ambiente, nonché di salvaguardare il talento visuale di monumenti e beni culturali, ambientali paesistici”.
La censura contesta la violazione dell’art. 12 del d. lgs. 387/2003, e degli artt. 146 e 152 del d. lgs. 42/2006.
La censura è fondata.
L’art. 12, comma 3, del citato d. lgs. 387/2003 stabilisce che l’autorizzazione unica è rilasciata “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”.
Il successivo comma 4 specifica poi che “L'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni”.
Il rinvio alle modalità procedimentali stabilite dalla legge n. 241 del 1990, evidentemente anche in punto di legittimazione alla partecipazione al procedimento, esclude che possa introdursi con norma regolamentare una deroga che consenta la partecipazione di amministrazioni non titolari di competenze in relazione all’affare da deliberare.
La disposizione impugnata, infatti, per la sua formulazione implica la necessaria partecipazione al procedimento delle Soprintendenze, e la valutazione solo in quella sede della esistenza o meno di un titolo che ne giustifica l’intervento.
A nulla vale, in contrario, sostenere – come ha fatto in sede di discussione orale l’Avvocatura dello Stato – che in caso di verifica negativa della rilevanza paesistico-ambientale la Conferenza prosegue senza l’intervento del rappresentante della Soprintendenza.
Tale evenienza, peraltro non prevista dalla disposizione impugnata, non salverebbe comunque l’illegittimità della previsione di un allargamento non giustificato del novero dei soggetti partecipanti.
Oltre alla diretta violazione della invocata normativa statale di rango primario, relativa alla disciplina del procedimento di autorizzazione, è peraltro evidente come un simile intervento costituirebbe esercizio di un potere privo – in assenza di un vincolo - di fondamento legale, almeno in una fattispecie di conferenza di servizi decisoria quel’è quella disciplinata dall’art. 12 del d. lgs 387/2003 (cui del resto la norma regolamentare impugnata espressamente si richiama).
Anche questa censura è pertanto fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con il settimo motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la legittimità dei punti 6 e 7 della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui prevede misure di mitigazione ambientale e di compensazione, senza stabilire “i criteri di applicazione di siffatte misure idonei a far si che le stesse garantiscano effettivamente il riequilibrio ambientale e territoriale delle aree interessate dalla realizzazione degli impianti da autorizzare”.
Si deduce la violazione dell’art. 12, comma 6, del d.lgs. 387/2003, nonché della legge 239/2004.
La censura è fondata.
Le misure di mitigazione non sono previste dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003; le misure di compensazione sono dallo stesso (comma 6) espressamente vietate.
L’art. 12, comma 6, del decreto legislativo n. 387 del 2003, stabilisce infatti che «l’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province».
Va peraltro tenuto presente che secondo l’art. 1, comma 4, lettera f), della legge n. 239 del 2004, ai fini dell’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, anche il legislatore regionale può prevedere «eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 383 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge n. 239 del 2004 limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili».
In proposito la stessa Corte costituzionale ha da ultimo chiarito (sentenza n. 282 del 2009) che “Per effetto di tale pronuncia, anche al legislatore regionale è stata estesa la facoltà di introdurre misure di compensazione nella disciplina delle fonti rinnovabili di energia, peraltro a condizione che i beneficiari delle predette misure non siano né le Regioni, né le Province eventualmente delegate”.
La censura è dunque fondata, non avendo in radice l’amministrazione regionale un simile potere regolamentare, che è pertanto privo di base normativa.
Appare in ogni caso assorbente il rilievo che simili misure, nella misura in cui possono essere individuate su base regionale, vadano disciplinate con legge (in questo senso Corte costituzionale, sentenza n. 282 del 2009), e non con atto amministrativo regolamentare.
Anche questa censura è dunque fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente censura – per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., nonché per eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta – il punto 2), lett. d), della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui richiede che l’istanza di autorizzazione venga corredata da una “dichiarazione di primaria Compagnia di Assicurazione della disponibilità alla copertura assicurativa dei rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura di energia elettrica all’ente gestore di rete”.
La censura non è fondata in relazione alla pretesa violazione del limite costituzionale del diritto privato: tale limite, che anzitutto opera per la competenza legislativa regionale e non per quella amministrativa, correttamente inteso attiene alla impossibilità di frazionare su base geografica la disciplina legale dei rapporti civilistici.
Altra cosa – qui ricorrente – è invece la previsione, con un atto amministrativo generale o con un atto amministrativo regolamentare, dell’impegno a sottoscrivere un contratto di garanzia, la cui disciplina rimane assoggettata alla normativa statale di diritto comune (senza alcuna violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l), Cost.).
Questo profilo di censura, del resto, se fosse fondato, dovrebbe coerentemente condurre alla illegittimità di tutti i bandi di gara che prevedono la stipula di un contratto di garanzia (bancaria o assicurativa), ancorché tale contratto rimanga disciplinato dalla legge statale.
Fondato è invece il secondo profilo di censura, relativo alla legittimità (e prima ancora alla esistenza) del potere di imporre la stipula di un simile contratto quale adempimento propedeutico all’esame dell’istanza di autorizzazione unica.
I rapporti fra produttore e gestore di energia sono oggetto di una disciplina pubblicistica che prevede precisi poteri di regolazione dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas.
Vero è che accanto al (o a causa del) mancato rispetto di tale normativa pubblicistica, può ipotizzarsi una violazione degli obblighi gravanti sui due soggetti, rilevante in punto di riparazione patrimoniale: ma la previsione di una garanzia assicurativa, a tutela di un eventuale credito del gestore, non appare funzionale alla tutela di alcun interesse pubblico, giuridicamente ritenuto meritevole di tutela sulla base della disciplina del settore, e men che mai di un interesse di cui sia titolare l’amministrazione regionale.
La censura, dunque, è per questa parte fondata, e va accolta.
Alle medesime conclusioni il collegio ritiene di dover giungere per quanto riguarda la censura dedotta con il successivo (nono) motivo del ricorso introduttivo, con cui si lamenta l’illegittimità – per eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta, nonché per indeterminatezza – del punto 10), ultimo capoverso, della delibera approvativa del P.E.A.R.S., che prevede l’obbligo della prestazione di “idonee garanzie a favore della Regione” per l’ipotesi (contemplata dalla rubrica del citato punto 10) di inefficacia dell’autorizzazione.
In questo caso appare assorbente la censura di eccesso di potere per indeterminatezza, non essendo affatto chiaro da tale formulazione:
in cosa debba consistere la garanzia da prestare;
rispetto a quel parametro debba compiersi il giudizio di idoneità della garanzia da prestare;
quale pregiudizio regionale la garanzia dovrebbe coprire od evitare.
Queste censure sono pertanto fondate, nei sensi appena esposti, e vanno quindi accolte.
Con il decimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente censura – per violazione dell’art. 41, comma 1, Cost., e per violazione del principio di tutela della concorrenza – il punto 12) della delibera approvativa del P.E.A.R.S., che stabilisce: “la regione promuove la stipula di accordi procedimentali e provvedi mentali, ex l. 241/90, con i soggetti gestori e realizzatori degli impianti, per la disciplina della riconversione delle centrali termoelettriche”.
La censura è così argomentata: “La disposizione su calendata, invero, laddove intesa nel senso di limitare la stipulazione di tali accordi con i soli soggetti gestori o realizzatori delle centrali termoelettriche, risulterebbe illegittima in quanto costituirebbe un canale preferenziale che consentirebbe a tali soggetti di adivenire all’autorizzazione unica in tempi più brevi rispetto agli altri operatori del settore e ciò in aperta violazione del principio sancito a livello comunitario di tutela del diritto alla concorrenza”.
La censura – in applicazione del criterio giurisprudenziale in precedenza richiamato - è inammissibile per carenza d’interesse attuale a gravare una disposizione regolamentare che, come del resto evidenziato dalla stessa argomentazione in chiave dubitativa ed eventuale del mezzo, può assumere una rilevanza lesiva solo a seguito dell’emanazione di un atto applicativo che produca l’effetto – non automaticamente riconducibile alla formulazione della disposizione stessa – lamentato dalla società ricorrente.
Considerazioni di identico tenore valgono per l’undicesimo motivo del ricorso introduttivo, che va pertanto dichiarato inammissibile, con il quale si impugna il punto 16 della delibera approvativa del P.E.A.R.S., per effetto del quale la Regione “si riserva di individuare, anche con separati provvedimenti, le aree impegnate da una forte concentrazione territoriale di impianti di produzione di energia da fonte eolica nelle quali il rilascio di nuove autorizzazioni sarà consentito solo subordinatamente alla previa dismissione di quelli preesistenti e non in esercizio”.
Anche in questo caso la necessaria intermediazione, per la produzione dell’effetto lesivo, dell’atto applicativo, impedisce di configurare un interesse attuale all’impugnazione della clausola regolamentare.
Con il dodicesimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente contesta la legittimità del punto 20) della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui prevede che “L’autorizzazione per la realizzazione di impianti di energia da fonte rinnovabile su terreni agricoli non può essere rilasciata ove essi non siano dichiarati dalla Amministrazione compatibili con la valorizzazione delle produzioni agroalimentari locali e la tutela della biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale”.
La disposizione viene censurata per violazione dell’art. 12, comma 7, del d. lgs. 387/2003, che stabilisce che gli impianti in questione possono essere ubicati anche in zone classificate come agricole dai vigenti piani urbanistici.
La censura è infondata, in quanto le due previsioni hanno un oggetto non sovrapponibile: in particolare, la disposizione regolamentare impugnata non esclude che gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili vengano ubicati in zona agricola, ma si preoccupa di rendere compatibile, in quel caso, la localizzazione dell’impianto con peculiari esigenze legate alla vocazione del territorio.
Non può dunque parlarsi di una contrasto fra le due disposizioni: né può farsi discendere dal disposto del citato art. 12, comma 7, come pretenderebbe la società ricorrente, l’indiscriminata possibilità di localizzare detti impianti in zona agricola, indipendentemente dalla valutazione di compatibilità territoriale specifica.
Altra questione – qui non rilevante – è poi quella dell’eventuale cattivo esercizio di detto potere di valutazione: laddove l’amministrazione non motivi adeguatamente e correttamente sulla presenza di fattori ostativi alla localizzazione, riconducibili alla fattispecie in questione (vicenda che potrà rilevare in sede di scrutinio di un ipotetico diniego motivato con riferimento alle esigenze di tutela di cui all’impugnato art. 20).
Con il tredicesimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente lamenta infine l’illegittimità del punto 21 della delibera approvativa del P.E.A.R.S., secondo cui “Gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di potenza superiore a 10 Mw, devono essere realizzati ad una distanza l’uno dall’altro non inferiore a 10 km. O, comunque, a distanza congrua, sulla base di adeguata motivazione”.
Vengono dedotti i vizi di eccesso di potere per illogicità manifesta e per disparità di trattamento, nonché di violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, del d. lgs. 387/2003.
La censura di eccesso di potere appare fondata sotto entrambi i profili.
La distanza minima stabilita – cui corrisponde un evidente vincolo – non risulta ancorata ad alcun plausibile parametro tecnico o scientifico.
In più, la previsione generalizzata di tale misura per siti anche molto diversi fra loro, porta inevitabilmente al trattamento eguale di situazioni diverse.
La norma è in realtà funzionale ad interessi solo in parte coincidenti con quelli legittimanti l’esercizio del potere regolamentare in esame.
Valgono per questo tipo di previsione le considerazioni che la giurisprudenza ha da tempo espresso a proposito della legittimità del potere regolamentare comunale in materia di localizzazione sul territorio di impianti elettromagnetici e stazioni radio base, e della finalità reale cui rispondono previsioni generalizzate di distanze minime particolarmente impeditive, del tutto avulse dalla concreta verifica dello stato dei luoghi (in questo senso, ex multis, T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 23 maggio 2009 , n. 375).
Questa censura è dunque fondata.
Il ricorso dev’essere pertanto accolto, nei sensi e nei limiti di cui alle motivazioni fin qui esposte.
Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla novità di alcune delle questioni dedotte, ed all’accoglimento solo parziale del ricorso, per compensare fra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sez. II, definitivamente pronunciando, accoglie in parte il ricorso in epigrafe, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla entro tali limiti i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Giovanni Tulumello, Primo Referendario, Estensore
Maria Barbara Cavallo, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

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