venerdì 30 ottobre 2009

Guida/ Marchi, loghi e certificazioni eco-ambientali

I marchi, le certificazioni e i loghi eco-ambientali sono decine e molti stentano a capire il significato. Un'inchiesta condotta nel 2005 dalle associazioni di consumatori europee evidenziava proprio la difficoltà di interpretare i simboli, di sapere se i marchi sono volontari o obbligatori, di valutare la serietà. Si tratta di perplessità comprensibili visto che pittogrammi di tipo ambientale insieme a quelli relativi alla sicurezza, al settore tessile e alimentare sono più di 110 . Ecco una rassegna dei più diffusi simboli usati nel settore ambiente.

EcolabelFscFairtradeAise
FrecceAngelo bluBatterieOmino
con cestino

...fotovoltaico...e il sole paga!

Ecco un articolo apparso su Il sole 24ore che tratta un argomento molto caro agli operatori del settore delle energie rinnovabili.

Tutto si riduce a una questione di costi. L'Italia nel 2008 è diventato il quinto paese al mondo come capacità fotovoltaica installata dopo Germania, Spagna, Giappone e Stati Uniti. Per la stragrande maggioranza, si tratta di impianti di piccole dimensioni: domestici o poco più. Il motivo è presto detto: gli incentivi del Conto Energia, al momento, sono considerati i migliori al mondo. Il 2009 procede a un buon ritmo e il tetto di 1.200 megawatt verrà verosimilmente raggiungo entro fine 2010. Poi gli incentivi resteranno, ma ridotti. E la grid parity? È in fondo al percorso. Nel momento in cui l'energia elettrica prodotta con i raggi del Sole potrà competere da sola con la bolletta tradizionale, il fotovoltaico camminerà con le sue gambe.

Sì, ma quando? La risposta è varia, non univoca, spesso strumentale. C'è chi dice che ormai ci siamo e chi parla di almeno 7-8 anni. Proviamo a fare due conti su scala domestica. La bolletta energetica, in media, «si aggira sui 20 centesimi di euro per Kwh», spiega Davide Valenzano, coordinatore dell'area monitoraggio del Gse. Il fotovoltaico costa di più. Dipende dalla geografia del posto (ore di insolazione annue) e dalla grandezza del l'impianto. Secondo lo studio «Il valore dell'energia fotovoltaica in Italia» realizzato da Arturo Lorenzoni, docente di economia dell'energia all'Università di Padova e allo Iefe (Bocconi) per il Gifi (il gruppo delle aziende del settore aderenti alla Confindustria attraverso l'Anie) nel caso dei piccoli impianti, tra 1 e 6 Kw di potenza, la "bolletta" dell'elettricità di origine solare varia dai 51,3 centesimi per Kwh nel Nord del Paese, dove le ore di insolazione annue sono 1.100, ai 37,6 euro del Mezzogiorno (1.500 ore di sole). In media, più del doppio di quanto siamo abituati.

Oggi l'incentivo italiano paga 45 centesimi per ogni Kwh messo in rete. «A questo va aggiunto lo scambio sul posto, una sorta di magazzino dove si può depositare l'energia in eccesso, salvo poi recuperarla quando c'è bisogno», continua Valenzano. Secondo il Gse in 11 anni un utente domestico medio si ripaga l'investimento iniziale, poi ogni briciolo di energia fotovoltaica è gratuita finché l'impianto funziona. I pannelli sono generalmente in garanzia per 25 anni. Il Conto Energia rende la tecnologia conveniente. L'investimento iniziale non è per tutti, ma le banche offrono qualche sostegno.

Proviamo ora a immaginare un mondo senza incentivi. Qual è il numero che identifica la grid parity? A livello domestico, la variabile preponderante è il prezzo dell'impianto. Va diviso per gli anni di esercizio. Quando il risultato è uguale a quanto si spenderebbe per gli stessi anni con le fonti tradizionali, si è raggiunto il magico punto di equilibrio. «Solo che il prezzo della bolletta dipende dalle fonti fossili e dal mercato dell'energia, e dunque è variabile», dice Lorenzoni. Secondo diverse analisi l'Italia sarà uno dei primi paesi al mondo a raggiungere questo obiettivo, visto che ha le bollette più salate d'Europa e buona insolazione. Il prezzo della tecnologia è in discesa. Secondo la ricerca, oggi, in Italia, un impianto costa 4.200 euro al Kw. Nel 2010 sarà 3.733 euro. Nel 2020, 2.178 euro. Dunque la metà. «Se un anno fa avessi detto che il prezzo dei moduli sarebbe crollato del 40%, mi avrebbero preso per pazzo», scherza Lorenzoni, sottolineando l'aspetto più intrigante del fotovoltaico. La partita si gioca proprio sul costo dei moduli, che pesa per il 70% sul totale.

Una risposta certa sulla grid parity, dunque, non esiste. Troppe variabili in gioco. E soprattutto «la ricerca spasmodica di questo equilibrio economico non è l'aspetto più importante – conclude Lorenzoni –, la priorità è che l'industria raggiunga un'economia di scala tale da consentirgli di investire ancora in ricerca». Un passo alla volta. Nel frattempo il Gifi ha proposto un taglio degli incentivi fino al 20% che garantirebbe l'installazione di 15mila Mw di impianti fotovoltaici al 2020 e la creazione, lungo tutta la filiera, di almeno 90mila posti di lavoro.

Finiu 'u pisci

Pare assurdo che gli abitanti più antichi di questo nostro pianeta abbiano una aspettativa di vita così breve!
Secondo uno studio pare infatti che entro il 2048 la gran parte dei grandi pesci scomparirà dagli oceani. Un altra drammatica dimostrazione di quanto può essere devastante la mano dell'uomo.

Entro il 2048 quasi estinti i grandi pesci

Dal punto di vista ecologico guida­re un fuoristrada Hummer e ordinare un sushi di tonno rosso in un ristorante sono altrettanto devastanti

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON
— Qual è la differenza tra guida­re un fuoristrada Hummer dallo smodato consumo di benzina e ordinare un sushi di tonno rosso in un ristorante? La risposta esatta è: nessuna, entrambe le azioni sono devastanti dal punto di vista ecologi­co. Come, si chiederà il nostro lettore, bruciare ossi­do di carbonio, aggravando l’effetto serra e il riscal­damento del clima, è la stessa cosa che mangiar pe­sce, dieta perfetta per rallentare l’invecchiamento? Duro da ammettere, è proprio così.

TONNI ROSSI - Poche creature degli oceani hanno la maestà dei grandi tonni rossi, siluri argentati e idrodinamici che possono arrivare a 700 chilogrammi di peso, 4 metri di lunghezza, eppur muoversi velocemente a oltre 40 chilometri l’ora. Ma il «Bluefin» ha anche un’altra caratteristica, la carne più buona del mon­do. E negli ultimi trent’anni un’armada sempre più tecnologicamente all’avanguardia e micidiale, fatta di navi e aerei da ricognizione, reti speciali, radar, sonar e perfino satelliti, ne ha decimato la popola­zione. Lo sterminio del tonno Bluefin è emblemati­co di tutto quanto c’è di criminale e distruttivo nel­l’industria della pesca nel mondo. Dove un’alleanza potente, fatta di multinazionali senza scrupoli, lob­bisti, governi compiacenti, consumatori irresponsa­bili e perfino accademici senza etica sta acceleran­do una catastrofe sistemica, con conseguenze incal­colabili per il pianeta.

LA FINE DEI PESCI- Finiranno i pesci? Non è più solo una domanda retorica. Secondo uno studio della rivista Science, in mezzo secolo siamo riusciti a ridurre del 90% la popolazione di tutti i grandi pesci preferiti dal mer­cato. Di più, se nulla accadesse, se le catture conti­nuassero a questo ritmo, entro il 2048, anno più an­no meno, tutte dicansi tutte le specie ittiche com­merciali avranno subito un «collasso» generale, nel senso che se pescherà sì e no il 10% dei livelli massi­mi, cioè quelli degli Anni ’80. Con le parole di Da­niel Pauly, scienziato e docente al Fisheries Center della University of British Columbia, «i pesci sono in grave pericolo e se lo sono loro, lo siamo anche noi».

IL SAGGIO - «Aquacalypse now» ha definito Pauly l’inquie­tante prospettiva, in un recente saggio pubblicato su The New Republic e dedicato alla «truffa» messa in atto sin dagli anni Cinquanta dagli uomini con­tro gli oceani e i loro abitanti. Uno schema predato­rio, rivolto all’inizio contro le popolazioni di mer­luzzi, pesci spada, naselli, sogliole e platesse del­l’emisfero settentrionale. Poi, man mano che queste famiglie si assottiglia­vano, le flotte si sono mosse sempre più a Sud, pri­ma verso le coste dei Paesi in via di sviluppo e da ultimo verso i fondali dell’Antartico, in cerca di spe­cie nuove e sconosciute. Quando poi i pesci di gran­de taglia e alto valore hanno cominciato a scompari­re, dai tropici ai poli non c’è stata più frontiera e limite: le barche hanno preso a catturare qualità sempre più piccole, mai in precedenza considerate commestibili per l’uomo. L’alleanza sciagurata de­gli interessi ha funzionato benissimo, alimentata da una domanda mondiale di pesce insaziabile e di­sposta a pagare qualsiasi prezzo, pur di avere le qua­lità più prelibate. Ma ora la lunga festa sta per fini­re. Nel 1950, secondo i dati della Fao, nel mondo si catturavano 20 milioni di tonnellate metriche di pe­sce e molluschi. Alla fine degli Anni ’80, il pescato mondiale raggiunse il massimo storico di 90 milio­ni di tonnellate. Da allora, è in declino costante. Co­me in una immane catena di Sant’Antonio, che ri­chiede i soldi di sempre nuovi finanziatori per paga­re i precedenti e rimanere in piedi, l’industria ha avuto bisogno continuamente di nuovi stock di pe­sce per continuare a operare. Invece di regolare pe­riodi e quantità delle catture, consentendo alle spe­cie di riprodursi e stabilizzare i livelli di popolazio­ne, è andata avanti fino all’esaurimento, spostando­si altrove e saccheggiando i mari. Se per l’Occidente ricco e affluente la fine dei pe­sci può sembrare una semplice disgrazia culinaria, per i Paesi emergenti, soprattutto nelle regioni più povere dell’Africa e dell’Asia, il pesce è la principa­le risorsa di proteine e una fonte di reddito per cen­tinaia di milioni di persone, piccoli pescatori e ri­venditori. E non c’è solo questo.

«EFFETTI COLLATERALI» - «L’impatto della riduzione della fauna marina sull’ecosistema degli oceani è stato del tutto sottovalutato», ammonisce Boris Worm, biologo dell’Università di Kiel in Ger­mania. «Fenomeni come l’esplosione della popola­zione di meduse e le alghe morte in molte zone co­stiere del mondo sono la diretta conseguenza della sparizione dei predatori dall’ecosistema marino», spiega Pauly, secondo cui la dinamica è aggravata dal progressivo riscaldamento dei mari. Eppure, l’Aquacalypse non è inevitabile. La buo­na notizia è che non è troppo tardi per scongiurar­la, a condizione che i governi si mobilitino. Ma quello necessario è un tipo d’intervento sofisticato e coraggioso, ben oltre l’imposizione di quote an­nuali, che comunque andrebbero strutturate in mo­do nuovo per esempio distribuendo «accessi privi­legiati » a un numero limitato di pescatori. Né basta una pur necessaria campagna di educazione dei consumatori, per incoraggiare prudenza e saggez­za di scelte. Illusoria è anche la promessa dell’ac­quacoltura, che secondo alcune statistiche fornireb­be oggi già il 40% del pesce consumato nel mondo. Intanto perché non c’è nessuna affidabilità sulle statistiche fornite alla Fao dalla Cina, che produr­rebbe già quasi il 70% del totale. Ma soprattutto per­ché, fuori dalla Repubblica Popolare, il settore pro­duce principalmente pesci carnivori, come il salmo­ne, nutriti cioè con olii e macinati di aringhe, sgom­bri e sardine: «Ci vogliono quasi 2 chili di pesci pic­coli per produrre mezzo chilo di uno grande — spiega Pauly —, è come rubare a Pietro per pagare Paolo. In Occidente l’acquacoltura è un lusso, dal punto di vista della sostenibilità globale». In realtà, aggiunge lo studioso, il punto centrale è scoraggia­re il complesso industriale della pesca, riducendo i sussidi: «Questo consentirebbe alla popolazione it­tica di ricostruirsi, mentre i miliardi risparmiati po­trebbero essere investiti nella ricerca per gestire meglio gli stock». Di più, «tocca ai governi dividere in zone l’ambiente marino, identificando le aree do­ve la pesca è tollerata e altre dove non lo è». Tutti i Paesi marittimi possono regolare i tratti fino a 200 miglia dalla loro costa, in base al Trattato del Mare dell’Onu: si tratterebbe quindi di creare un network planetario di riserve marine. Più facile a dirsi. Ma tant’è: «L’obiettivo minimo è ridurre del 50% la mortalità, per evitare l’ulteriore declino di specie a rischio», spiega Ransom Myers, biologo marino alla Dalhousie University in Canada.


Fonte: Corriere della sera

mercoledì 28 ottobre 2009

Rifiuti: l'incubo del nucleare


E' davvero curioso che questo video documentario sulle problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti da processi nucleari, provenga proprio dalla Francia. Ricordiamo che la Francia è il Paese leader mondiale nella produzione di energia da centrali nucleari, l'80% del loro fabbisogno energetico proviene infatti dal nucleare.
Ma guardiamolo insieme...è illuminante!

lunedì 26 ottobre 2009

Architettura dinamica

Architettura dinamica, forse mlti di voi non hanno mai sentito parlare di questa tecnologia (per alcuni visionaria), qui mi limito a pubblicare il video di presentazione...mi piacerebbe conoscere il vostro parere.

venerdì 16 ottobre 2009

Esempio di progettazione 3D

Ecco un paio di video interessanti che la SolartecMed presenta per dare una idea concreta di come i progetti saranno nella realtà.

Buona visione.




Maldive: 6 metri sotto il mare.

C'era una volta un'isola lontana dove per protesta i suoi governanti usavano riunirsi sotto il mare...
sembra una favola per bambini, invece è tutto vero.

Ci sono popoli che per manifestare la loro protesta contro giuste cause sono disposti a misure drastiche. Questo è il caso del Presidente
Mohammed Nasheed e 14 ministri del governo di Malé che si sono riuniti a 6 metri sotto il mare affinché i governi di tutto il mondo riducano le loro emissioni inquinanti.
Ecco l'articolo apparso sul Corriere della Sera


MILANO - Consiglio dei ministri a sei metri di profondità. La singolare iniziativa è stata decisa dal governo delle Maldive ed è in programma il 17 ottobre. Obiettivo: richiamare l’attenzione del mondo sulla minaccia che il riscaldamento globale e il conseguente aumento del livello dei mari rappresenta per l'arcipelago dell'Oceano indiano, che rischia di essere completamente sommerso.

MUTE E BOMBOLE - Il presidente Mohammed Nasheed e i 14 ministri del governo di Malé (alcuni dei quali prenderanno lezioni di immersione) scenderanno dunque in mare e firmeranno un documento che chiede ai governi di tutto il mondo di ridurre le emissioni di CO2. «Questa iniziativa vuole porre con forza l'attenzione sulle conseguenze per il nostro Paese dei cambiamenti climatici e rivolgere un appello al mondo intero perché trovi una soluzione concreta» ha dichiarato Aminath Shauna, sottosegretario dell'ufficio presidenziale. I 14 ministri indosseranno mute, pinne e bombole e si immergeranno fino al punto dove è allestito il tavolo: comunicheranno tra loro gesticolando o scrivendo su lavagnette e la riunione si concluderà con l'approvazione di un appello perché gli altri Paesi riducano l'emissione dei gas serra in vista del vertice di Copenaghen sul clima, dal 7 al 18 dicembre. «Ci appelliamo agli Stati di tutto il mondo, grandi o piccoli, ricchi o poveri, alti o bassi (rispetto al livello del mare), perché si uniscano e riducano le emissioni di carbone e le particelle di carbonio nell'atmosfera» recita il comunicato. Il documento finale sarà protetto da un contenitore impermeabile inchiodato al tavolo.

NAZIONE PIÙ BASSA - Da anni il 42enne presidente Nasheed, eletto nel 2008 dopo trent’anni di dittatura nel primo voto democratico e multipartitico della storia della Repubblica, sta conducendo una battaglia per cambiare il sistema di approvvigionamento energetico mondiale. Le Maldive sono un complesso di 1.192 atolli che si trovano in media a 1,5 metri sopra il livello del mare, numeri che valgono all'arcipelago il poco invidiabile record di nazione più bassa del mondo: il punto più alto è a 2,30 metri, mentre la gran parte degli atolli sono sotto il metro. Si calcola che entro il 2100 il Paese potrebbe scomparire a causa dell'innalzamento del livello del mare e il rischio è così concreto che gli oltre 300mila maldiviani si stanno organizzando per traslocare in un altro Stato. Tra le possibili destinazioni Australia, India o Sri Lanka. Case e terreni verrebbero acquistati con un fondo sovrano ad hoc e mediante un regolare trattato internazionale.

RISCHIO TSUNAMI - «Se il mondo continuerà ad ignorare le conseguenze dei cambiamenti climatici, non ci sarà possibile continuare ad essere una nazione su quest’arcipelago» ha spiegato il ministro dei Trasporti e dell’Ambiente, Mohammed Aslam. D’altronde, 113 delle 1.192 isole che formano l’arcipelago soffrono già gli effetti dell’erosione, tanto che una di queste, Raa, verrà fatta sgomberare per i rischi legati ad eventuali onde anomale: gli effetti dello tsunami del dicembre 2004, seppure attenuati (onde di appena un metro) furono sufficienti a causare 82 morti e 12mila sfollati. Se i nuovi piani edilizi prevedono la costruzione di case con dei rifugi sui tetti, il ricorso ad isole artificiali non viene considerata un’alternativa praticabile all’acquisto di territori all’estero, dato il grave impatto ambientale.

Centro commerciale by Zamparini

Ecco una notizia che interessa sicuramente molti palermitani. Si tratta del tanto discusso Centro Commerciale del Presidente del Palermo Calcio. Voglio proporvi alcuni rendering dei progetti. Se i progetti proposti avranno una realizzazione concreta (e speriamo) un occhio ddi riguardo sarà dato alle fonti di energia rinnovabile di ultima generazione e ai parametri di efficienza energetica

Articolo su Mobilità Palermo

I lavori del centro commerciale di Fondo Raffo, a San Filippo Neri, cominceranno all’inizio del prossimo anno. L’ultima autorizzazione, la tanto attesa “concessione edilizia“, è stata rilasciata lo scorso Luglio.

Arrivano importanti informazioni circa l’insegna dell’ipermercato del centro commerciale. Forse ci dovremo preparare ad una vera e propria invasione di Ipercoop. Dopo i 2 ipermercati all’interno dei centri commerciali Forum Palermo e Torre Ingastone, pare che il colosso delle cooperative sia intenzionato ad acquisire anche il suo terzo ipermercato nel capoluogo siciliano, proprio all’interno del centro commerciale di Zamparini. Pare che le trattative siano a buon punto, ma in corsa c’è anche , come spesso anticipato su Mobilita Palermo, il colosso francese Auchan, che ha già confermato la sua presenza all’interno del Centro Commerciale Ciachea a Carini. Il futuro Ipercoop o Auchan di Fondo Raffo avrà 38 casse.

L’area che il prossimo Gennaio 2010 diventerà un cantiere a cielo aperto è di 283 mila metri quadri. Il centro commerciale avrà una superficie di 55 mila metri quadri. Oltre all’ipermercato , ci saranno anche 116 negozi, comprese 8 medie superfici di vendita, una grande struttura commerciale per il no food di circa 5000 mq (Mandi), 7/8 tra bar e ristoranti. Il progetto include anche altre strutture esterne, ovvero il centro di municipalità. Ci saranno: una scuola steineriana con annesso orto e giardino, teatro, due edifici comunali destinati al centro di municipalità con funzioni direzionali e culturali, un poliambulatorio, la biblioteca e l’aula ludica, tutte aperte al pubblico. Lo sfondo sarà tutto del parco: cinque ettari con al centro la già restaurata Villa Raffo, di proprietà della Regione, che probabilmente ospiterà il museo delle carrozze o uffici regionali. Immediatamente alle spalle della struttura commerciale si troveranno tre edifici: una casa di riposo per anziani con 120 posti letto, una struttura sanitaria per pluriminorati, un impianto sportivo con palestra, campi di calcetto e piscina olimpionica.

Per quanto riguarda la viabilità, sarà raddoppiata via San Nicola. Tre gli ingressi: da via Lanza di Scalea , via Faraone,e via San Nicola per gli Istituti, mentre da via Bianchini per i parcheggi. Infine, con un progetto già finanziato e approvato dal Comune sarà costruita la rotonda di via Besta.

Nel progetto non manca l’impronta ambientalista. “Ci sono impianti fotovoltaici - spiega il progettista, l’architetto Vigneri – che produrranno fino a tre megawatt, ossia più del 50% del fabbisogno dell’intera struttura commerciale. Inoltre per i materiali che riguarderanno l’isolamento e le coperture delle gallerie si è tenuto conto del risparmio energetico. Manterremo intatta la collinetta all’interno del parco, che rappresenta un polmone verde, e tutti i parcheggi saranno alberati”.
















SolartecMed: sponsor ufficiale Windsurf World Festival 2009:

Quest'anno si è svolto il WWF 2009 è la SolartecMed è stata fra gli sponsor ufficiali della manifestazione. Per noi e tutti i nostri partners significa moltissimo dare supporto ad iniziative come questa che portano alla nostra splendida Mondello una visibilità riconosciuta in tutto il mondo.
Di seguito vi propongo il video del promo dell'evento.



La natura insegna, basta osservarla.

Imparare dalla natura, sembra questa ormai per gli scienziati illuminati di tutto il mondo la vera sfida. In fondo non ci sarebbe nemmeno da stupirsi. La storia è piena di tecnologie applicate rese possibili dall'osservazione dei fenomeni naturali.
Di seguito desidero riportare solo l'ultimo di quello che ritengo un grande esempio di quanto l'umanità possa migliorare la propria vita, semplicemente osservando la natura che la circonda.

Elettricità dalle onde del mare. Con strutture flessibili che imitano le alghe. In Australia è già realtà. E il resto del mondo segue a ruota. Per costruire nuove minicentrali. Non solo negli oceani, ma anche nei canali urbani
Il trucco? "Copiare le alghe". Come? "Ispirandoci al loro modo di fluttuare nella corrente, piegandosi senza spezzarsi". Così Tim Finnigan, ingegnere marino australiano, spiega cosa fa la sua start up BioPower, specializzata nel ricavare energia dalla forza del mare. Prendendo spunto dai precetti della biomimetica - la disciplina che concepisce soluzioni tecnologiche copiando quanto avviene in processi e organismi naturali - Finningan ha messo a punto due prototipi di macchinari in grado di trasformare l'energia delle onde e delle correnti marine in energia elettrica a uso commerciale. Il primo, BioWave, è una specie di stelo flessibile su cui insistono tre grandi baccelli che galleggiano e immagazzinano l'energia cinetica delle onde convertendola in energia elettrica. Se le onde si gonfiano troppo, al punto da minacciare di danneggiare il meccanismo, lo stelo si piega in posizione orizzontale e così rimane, finché la violenza dell'oceano si è placata. L'altro, BioStream, è invece un dispositivo dalla forma simile al corpo dei grandi nuotatori oceanici (squali e tonni), capace di posizionarsi sempre controcorrente in modo da catturare la forza del flusso, trasformandola in energia elettrica.

"Stiamo assemblando i prototipi nelle acque della Tasmania e avremo i primi risultati a metà 2010", dice Finnigan. Se questi saranno soddisfacenti BioPower, che ha ricevuto finanziamenti anche dal governo di Canberra, inizierà a realizzare i primi impianti a uso commerciale lungo le coste dell'Australia: "L'idea è quella di avere centrali da 40 Megawatt, composte da moduli in grado di generare 1 Mw l'uno". E 40 Mw possono soddisfare le esigenze di una cittadina di 15 mila abitanti.

Con un'estensione di 360 milioni di chilometri quadrati, i mari e gli oceani coprono oltre due terzi della superficie terrestre. Un dato che da solo giustifica il susseguirsi dei tentativi di imbrigliare l'enorme potenziale energetico del 'continente blu'. La strada però non è facile. Quale che sia la tecnologia prescelta - che si cerchi di sfruttare il moto ondoso, le maree, le correnti o il 'gradiente termico' - si è ancora in fase pionieristica e non sempre i risultati hanno il successo sperato. Ma ormai nessuno ne dubita: l'energia estratta dal mare sarà parte del mosaico di soluzioni ecosostenibili con cui in futuro si cercherà di soddisfare le esigenze energetiche del pianeta.

La conferma arriva dagli investimenti che stanno confluendo nel settore: "Flussi di denaro arrivano alle aziende sia dagli investitori istituzionali sia dai governi", dice Gouri Nambudripad, analista della società di consulenza strategica Frost & Sullivan. Con la Gran Bretagna in posizione di indiscusso leader globale, "anche in considerazione del fatto che detiene il 50 per cento del potenziale europeo in questo settore, per via dei suoi mari sempre increspati anche vicino alle coste", continua Nambudripad: "Entro dieci anni potrebbe arrivare ad avere centrali marine per un totale di 3 Gigawatt di potenza installata".

Non è un caso dunque che sia scozzese la Pelamis Wave Power, l'azienda che per prima al mondo ha aperto una 'fattoria delle onde' a uso commerciale. è avvenuto lo scorso anno, quando le 1.500 famiglie del villaggio portoghese di Povoa de Varzim hanno cominciato a ricevere a casa la corrente elettrica prodotta da una batteria di 'salsicciotti' galleggianti stesi a cinque chilometri dalla costa e capaci - grazie a un dispositivo composto di martinetti idraulici, motori idraulici e generatori elettrici - di creare energia sfruttando il moto ondoso. A riprova che la strada è di quelle in salita, Pelamis a marzo ha dovuto sospendere il progetto, prima per questioni tecniche (una perdita d'acqua nei convertitori), poi per difficoltà economiche connesse alla crisi finanziaria che ha fatto mancare i fondi per far ripartire l'operazione una volta che i problemi tecnici erano stati risolti.

Ma nonostante la débâcle portoghese, Pelamis è più attiva che mai: la corporation tedesca E.On le ha appena commissionato due convertitori di nuova generazione (i P-2) mentre il governo scozzese le ha messo a disposizione quattro milioni di euro per la prima 'wave farm', che vedrà l'implementazione di quattro convertitori (da 750 Kilowatt l'uno) al largo delle isole Orcadi, dove nel 2004 è stato istituito l'European Marine Energy Centre (Emec).
Cadute e risalite costellano anche il versante atlantico della corsa alle energie marine rinnovabili. Dopo aver visto rompersi per due volte le pale dei prototipi posizionati nel tratto dell'East River all'altezza di Roosevelt Island, a New York, dove il flusso di marea è assai sostenuto, la compagnia americana Verdant Power, specializzata nello sfruttamento energetico delle correnti di marea, è riuscita a far funzionare una batteria di sei turbine rinforzate che oggi forniscono elettricità a un parcheggio e a un supermercato. Ora il Roosevelt Island Tidal Energy Project è pronto per entrare nella seconda fase, con l'installazione di 24 turbine. Il punto d'arrivo del progetto è fissato a quota 300 turbine, che una volta a regime saranno capaci di generare energia elettrica 'di corrente di marea' a 10 mila abitazioni della Grande Mela.

Proponendo una visione ancora più avanzata, un team di architetti newyorkesi capeggiato da Richard Garber, docente al Njit College of Architecture and Design, ha presentato il proprio progetto per un network modulare di centrali elettriche flottanti: "Ogni modulo, composto da tre turbine verticali sottomarine, sarebbe in grado di generare 24 Kilowatt di energia elettrica (sufficienti a illuminare 359 lampioni cittadini a Led) in maniera costante, grazie alla potenza della corrente di marea bidirezionale", spiega Garber: "Ma il bello è che, allacciandosi ai moli preesistenti lungo Manhattan, i moduli avrebbero anche la funzione di ampliare le aree verdi disponibili, ridisegnando i contorni della metropoli".

La promessa di un'energia estratta dagli oceani non ha lasciato indifferente nemmeno la Marina statunitense, che ha già programmato per il prossimo anno l'installazione di una serie di turbine al largo dell'isola di Marrowstone, presso la base navale di Kitsap. Se il test pilota darà i risultati sperati, "la Us Navy potrebbe installare centrali elettriche marine a turbine in tutte le sue basi nel mondo", dice Sheila Murray, portavoce della Marina Usa per le questioni ambientali.

Ma nel mare magnum delle sperimentazioni che si stanno moltiplicando in questo campo c'è anche chi preferisce partire da progetti su scala assai più ridotta. Come una piccola azienda di Seattle, Hydrovolts, che invece di impiantare costose turbine in oceani dagli umori imprevedibili ha puntato su acque ben più tranquille: quelle dei canali, delle vie d'acqua controllate e persino degli scarichi fognari urbani. "Anche con flussi modesti, una corrente regolare e costante è più che sufficiente per attivare le nostre Flipwing", dice Burt Hamner, fondatore di Hydrovolts: "Sono turbine piccole e abbastanza economiche, che possono benissimo rispondere alle esigenze di comunità locali e villaggi. Ma anche di fabbriche, fattorie e impianti di depurazione".

Insomma, la rivoluzione dell'energia ecosostenibile prodotta dalle acque ha ormai avuto inizio: che si parta dagli oceani australiani o dalle fogne di Seattle, in fondo, non cambia molto.

Fonte della notizia: L'espresso

mercoledì 7 ottobre 2009

Una legge per le rinnovabili: Angelo Consoli su La Repubblica TV

Martedì 6 Ottobre è andato in onda su La Repubblica Tv la trasmissione condotta da Antonio Cianciullo "Una legge per le rinnovabili" ospite in studio Angelo Consoli Direttore della Fondazione Rifkin.

Uno degli argomenti tratatti è stato il 4° pilastro della Terza Rivoluzione Industriale: le Smart Grid.

Ecco qui il video della trasmissione

lunedì 5 ottobre 2009

Angelo Consoli oggi in diretta su Repubblica TV

Oggi Martedì 6 Ottobre 2009 alle ore 12:00 in diretta presso gli studi de La Repubblica TV andrà in onda la trasmissione "Una legge per le rinnovabili" condotta da Antonio Cinciullo.
Ospite in studio il Dott. Angelo Consoli Direttore della Fondazione Rifkin.
Seguiamolo tutti con attenzione.

CLICCA QUI PER VEDERE LA DIRETTA DELLA TRASMISSIONE