Desidero segnalare a proposito l'articolo apparso su L'Unità del giornalista Giovanni Maria Bellu, che riporto qui per intero.
Quando divenne assessore all'Ambiente della Calabria, il biologo marino Silvio Greco non immaginava che le sue competenze tecniche gli sarebbe tornate tanto utili. Ora è come un cardiochirurgo che, diventato direttore diuna Asl, s’imbatte in uno scandalo connesso ai trapianti di cuore: conosce la sofferenza del paziente e, nel contempo, individua le responsabilità dell' amministrazione. Il cuore sofferente che indigna Silvio Greco è il mare della sua terra. La malattia è una nave carica di fusti velenosi, una bomba di cui non si conosce la composizione, idonea a provocare una catastrofe ambientale di proporzioni spaventose e a colpire gravemente la salute dell'uomo. L’amministrazione sciatta è quella dello Stato: «Il governo ancora non ha fatto niente. Se una cosa del genere fosse stata scoperta a largo di Portofino o di Venezia non credo proprio che le cose sarebbe andate così. Evidentemente non si rendono conto che il mare non conosce i confini amministrativi. Il mare è di tutti. Questa è una catastrofe nazionale».
Cominciamo dall'inizio.
«Era lo scorso 13 maggio. Il procuratore della Repubblica di Paola, Giordano Bruno, mi presentò una relazione che riguardava un eccezionale aumento dei tumori nella zona di Serra D’Aiello e anche uno studio realizzato per verificare le dichiarazioni di unpentito che aveva parlato di navi cariche di veleni affondate davanti alle nostre coste. Dal tracciato di un sonar risultava che in un punto-mare corrispondente a quello indicato dal pentito erano giunti segnali compatibili con la presenza di un relitto. Si trattava di verificare e la procura non aveva i mezzi».
E voi cosa avete fatto?
«Ci siamo mossi istantaneamente. Il 14 maggio, il giorno successivo, ho informato il presidente Agazio Loiero che mi ha dato carta bianca. Il 15 ho scritto una lettera al ministro dell'Ambiente, al capo della Protezione civile e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Quasi un mese dopo, l’11 giugno, la risposta non era ancora arrivata. Ho scritto un’altra lettera. Finalmente il 15 Bertolaso mi ha risposto. Poche righe per dire che aveva rivolto al ministro dell’Ambiente la richiesta di esperire "ogni iniziativa utile per risanare il contesto"».
Ma in concreto?
«Assolutamente niente. E la procura continuava a chiederci aiuto. È stato così che ai primi di settembre ho chiesto all'Arpacal, la nostra agenzia regionale per la protezione ambientale, di mettersi a disposizione. Con i nostri fondi regionali ha noleggiato una nave e un Rov, un robot sottomarino. Le operazioni sono cominciate il 10 settembre. Il 12 il Rov ha filmato il relitto. Le sue caratteristiche fanno pensare, anzi direi che praticamente danno la certezza, che si tratta proprio della nave indicata dal pentito, la Cunsky».
Ma è intervenuto alla fine anche il ministero dell'Ambiente che ha inviato i tecnici dell'Ispra.
«Certo. E spero che ora il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Paola alla Direzione distrettuale antimafia non determini una sospensione delle operazioni in attesa della conferma dell’incarico. Sarebbe davvero paradossale. Comunque il lavoro dell'Ispra, che è certamente importante, servirà ad accertare che non ci sia una contaminazione in atto. Ma ci vuole ben altro».
Cosa?
«Un impegno immediato e straordinario del governo. È mai possibile che la presidenza del Consiglio non intervenga in presenza di una nave dal contenuto radioattivo nelle nostre acque? Dico una nave perché è l'unica a essere stata individuata. Ma quel pentito ne ha indicate altre due e, secondo le ipotesi investigative, sarebbero in tutto almeno una trentina».
Cosa chiedete?
«Immediatamente l a “caratterizzazione”, cioè che si accerti cosa c’è dentro quei fusti. Poi, individuata la natura del carico, la bonifica. Intendo dire che va rimosso tutto il carico e con esso il relitto. Questa, e il governo deve capirlo al più presto, è un’operazione di interesse nazionali. Non può essere lasciata alla magistratura, nè a una Regione. E bisogna agire subito.
Il relitto è la dal 1992, fino a ora ha retto. Ma cosa accadrebbe se il carico fuoriuscisse? Poi ci sono gli altri relitti.
«Si deve andare avanti nella ricerca. Daquesto punto di vista un grande aiuto può venire dai pescatori. Il filmato del Rov mostra sul relitto una serie di reti da pesca. Questo indica che i pescatori sapevano e, come sempre accade, passavano con lo strascico vicino a quel punto. Infatti dove c'è un relitto si forma un ambiente più pescoso. Ecco, credo che altre situazioni del genere, cioè di relitti “comparsi” tra gli anni Ottanta e Novanta siano note ai pescatori professionisti. Devono aiutarci ».
Cosa succede a chi mangia quel pesce?
«Se non sappiamo cosa c'è dentro i fusti è difficile fare ipotesi. Di certo si tratta di fonti di contaminazione persistenti e biodisponibili: entrano nei vari livelli della rete trofica fino ai predatori di vertice».
Cioè i pesci più grandi, quelli che mangiamo. E l’ambiente?
«La biodiversità è a rischio. Nei fondali si possono creare alterazioni nelle finestre riproduttive con la scomparsa di intere specie viventi».24 settembre 2009
Fonte: L'Unità
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